L’origine del coronavirus è naturale o artificiale? Gli asintomatici hanno la stessa infettività dei sintomatici? Perché i tempi del vaccino sono così lunghi? Quali sono stati gli errori commessi durante la fase di contenimento del virus?
A questi ed altri interrogativi ha risposto il nostro Direttore Sanitario dott. Stefano Sabatini, Epidemiologo Clinico, in un’intervista rilasciata a dossiersicurezza.com, a cura della dott.ssa Maria Teresa Lofari, per fare chiarezza sulla genesi dell’epidemia caratterizzata, negli ultimi tempi, da svariate e talvolta improbabili congetture.
L’origine del virus – spiega il Direttore – è naturale, smentendo l’ipotesi ormai nota di una sua creazione artificiale in laboratorio: si tratta infatti di un nuovo ceppo di virus naturale che ha compiuto il salto di specie, acquisendo la caratteristica genetica di infettare l’uomo e di trasmettersi da uomo a uomo. Uno studio condotto sul genoma del SARS-CoV-2, pubblicato sulla rivista Nature Medicine, avvalora questa tesi, dimostrando, attraverso un confronto tra genomi dei diversi ceppi di coronavirus, che il Covid 19 si è selezionato proprio per via naturale.
«Ricordiamo che ogni volta che ci siamo trovati di fronte ad emergenze epidemiche “nuove” è sempre stata tirata in ballo la teoria del complotto del virus creato in laboratorio o sfuggito dai laboratori».
Per quanto riguarda la categoria degli asintomatici, così sottovalutata per un lungo periodo di tempo, il Direttore spiega che, nonostante siano infettanti, potrebbero avere una carica infettiva minore, mentre parlando delle tempistiche per l’allestimento di un vaccino, chiarisce che devono essere presi in considerazione, oltre ai tempi necessari per la sua preparazione, anche il tempo di sperimentazione della sua efficacia, stimandone la sua ultimazione a circa un anno.
Il tasso di mortalità, che in Italia è circa il 6,8% (ben più alta del 3,4% stimato dall’OMS) è sovrastimato, in quanto sono considerati solo i soggetti sintomatici ricoverati e non tutti i contagiati, quindi anche gli asintomatici, sul cui numero nessuno ha certezza: se presi in considerazione, infatti, aumenterebbe di molto il denominatore, e si abbasserebbe il tasso di letalità. Un altro fattore da tenere presente è che il nostro paese annovera la popolazione più anziana d’Europa ed è proprio sugli anziani che il virus ha un maggiore tasso di letalità: l’età media dei deceduti da coronavirus è, infatti, di 81 anni e riguarda, in larga misura, pazienti con patologie concomitanti, tutto ciò senza considerare i bypass legati a problemi di notifiche.
L’ultima questione affrontata, infine, riguarda gli errori commessi nel contenimento della malattia: il principale errore, a suo parere, risiede nell’aver sottovalutato l’evento epidemico nel suo complesso, sia per quanto riguardava la contagiosità del virus sia rispetto alla sua aggressività, in termini di patogenicità e di mortalità. Dunque, di fronte ad un virus nuovo, che non si conosce in maniera approfondita e di cui non si ha nell’immediato ancora un rimedio, l’unico sistema efficace rimane ancora quello di non contrarre il virus, attraverso l’isolamento dei malati, la quarantena dei possibili contagiati e la non esposizione di coloro che non l’hanno preso.
In conclusione «dobbiamo preparaci a questa nuova fase con la stessa responsabilità, e forse anche maggiore per alcuni, che abbiamo fin qui avuto perché con la fine del lockdown le occasioni di contatto aumenteranno e finché non ci sarà un vaccino non si potrà arrivare al contagio zero, diventa quindi fondamentale imparare a convivere almeno ancora un po’ con la consapevolezza che non possiamo abbassare la guardia.
Solo così si potrà evitare che la cosiddetta seconda ondata, che normalmente caratterizza gli eventi epidemici di questo tipo, abbia l’effetto devastante che ha avuto questa prima fase dell’epidemia».